Il terzo capitolo di un libro che ho pubblicato di recente col marchio Mario Vallone Editore, intitolato “Maestri di color che sanno – contributi vari all’educazione ed alla Pedagogia”, scritto da un autore originario di Drapia ma residente a Milano di nome Franco Messina.
Capitolo III: ZUZANNA GINCZANKA
ZUZANNA GINCZANKA nasce come ZUZANNA POLINA GINCBURG a Kiev in Ucraina nel 1917. Adotterà poi lo pseudonimo di Ginczanka. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre (1917), la famiglia Gincburg si trasferisce a Ròwne, sempre in Ucraina, e qui i genitori si separano. Zuzanna crescerà con la Nonna materna e avrà con mamma e papà solo una corrispondenza epistolare rarefatta. Praticamente crescerà non solo senza la loro presenza fisica, ma soprattutto senza il loro affetto: senza quell’Amore Parentale che ormai tutti sanno quale ruolo abbia nello sviluppo della personalità partendo dall’infanzia. E infatti la separazione dei genitori “segna profondamente la futura Poetessa” (Alessandro Amenta).
Zuzanna è per l’appunto soprattutto una Poetessa. Già a 14 anni pubblica la sua prima Poesia su una rivista scolastica. Tre anni dopo, su suggerimento di Julian Tuwim, poeta già affermato, partecipa a un Concorso letterario: ne riceve un riconoscimento. Ha così inizio ufficialmente la sua ascesa letteraria. Al contempo studia Pedagogia all’Università di Varsavia. Durante gli studi entra a far parte della redazione di una rivista satirica fondata da poco e su cui pubblica l’unica sua Raccolta poetica completa: I Centauri.
Nella seconda metà degli anni Trenta, cominciano a verificarsi, in Polonia, le prime manifestazioni xenofobe e antisemite. Su un quotidiano nazionale viene rinfacciato a Ginczanka di avere origini ebraiche. Lei risponde all’articolo con una satira, ma senza dare gran peso alla cosa. Poi scoppia la Seconda Guerra Mondiale: Zuzanna da Ròwne si sposta a Leopoli: s’iscrive all’Unione degli Scrittori dell’Ucraina Occidentale. Trova lavoro come contabile. Si sposa con uno Storico dell’Arte, che ha diciassette anni più di lei. A Leopoli collabora con due riviste nate di recente, ispirate al Bolscevismo. Vi pubblica pure due Poesie. Su commissione, traduce altri Poeti, tra cui Majakovskij.
Nel 1941 i Nazisti invadono Leopoli. Ginczanka riesce l’anno dopo a fuggire, dirigendosi a Cracovia: poco prima aveva composto la Poesia che inizia con le parole latine: “Non omnis moriar”, ritenuta la sua cosa migliore in assoluto. Inverno del 1944: Zuzanna è arrestata, torturata e fucilata: ha solo 27 anni. Manca pochissimo all’arrivo dell’Armata Rossa, e alla fine della Guerra.
Nel 1990 Agatha Araszkiewicz pubblica una monografia su Ginczanka in chiave psicanalitica, evidenziando pure la componente femminista del suo pensiero. Nel 1994, Jaroslaw Mikolajewski si attiva per diffondere la sua Poesia: Ginczanka verrà “finalmente riconosciuta come grande Poetessa, e annoverata nel Parnaso letterario del Novecento polacco” (Silvia Leuzzi).
Zuzanna Ginczanka è anche Pedagogista, almeno de jure, essendo laureata in Pedagogia. E’ possibile presentarla come tale anche de facto? Io dico di sì. Dobbiamo però partire dalla sua Poesia. E la Poesia di Zuzanna diviene Pedagogia attraverso il filtro di una certa Filosofia che vi è racchiusa. Perchè hanno ragione, in questo senso, quegli Autori come Gianni Rodari, Luigi Volpicelli, Giovanni Jervis ecc. i quali sostengono che la Pedagogia (“Scienza dell’Educazione”) si imposta sulla Letteratura (in senso stretto) prima che su tutto il resto (l’ho detto anche nella “Premessa”): nessuno degli altri campi semantico-epistemici può essere anteposto alla Letteratura. E ha ragione Carmelo Viola: “la Poesia è l’altra faccia della Scienza”, cioè: la Poesia dice in forma sintetica ciò che la Scienza dice in forma analitica (e ovviamente, vale l’inverso: la Scienza dice… ciò che la Poesia dice… ).
Ora: la prima impressione è che lo sfondo filosofico della Poesia ginczankiana consista in un certo Pessimismo. Ma si tratta veramente di pessimismo? Prima facie, un certo pessimismo sembra affiorare da versi come questi: “Ovunque andrò, sarà sempre avanti, / Ma ogni avanti mi riporterà indietro”; e (rivolta ai suoi delatori): “Che i miei amici siedano con le coppe alzate / E brindino al mio funerale”. Apparente, tuttavia, il pessimismo: perchè per esempio scrive anche: “Scorre il bianco latte come l’eternità / Nei templi del seno materno”. E si dà il caso che il latte non sia solo simbolo (metafora) della Vita, ma sia proprio esso un Liquido Vitale – Liqueur de Vie per antonomasia – per il neonato: che la madre gli elargisce congiuntamente al suo amore per lui (secondo Fromm e secondo Anna Freud). Tutto ciò si può esprimere con la parola utopia: “Progettazione del Futuro”, per dirla col Canevaro (e con Comenio); “Dimensione del Possibile”, per dirla con Mauro Laeng.
Ed è proprio questo, che costituisce il pedagogico della Poesia, del pensiero di Ginczanka. Chi educa (obiettivo etico-sociale dell’Insegnare) deve comunicare, proporre e inculcare Valori, che dovranno avere un senso soprattutto in quanto proiettati nel futuro: in un futuro imminente per lo meno: quindi non il “luogo che non ci sarà mai”, ma il “luogo che ci sarà… se… e quando…”: la “Dimensione del Possibile”, appunto: l’Utopia. L’Impossibile è la Distopia (distorsione/fraintendimento dell’Utopia), peggio: la Cacotopia (“controutopia negativa”: Cesare Scurati).
C’è però un’altra componente importante nella Pedagogia/Poesia della Nostra: la Sessualità. Nessuno sarà mai in grado di negare che la Vita nasce da un atto Sessuale (che con gli ultimi ritrovati della scienza e della tecnica può anche non avvenire in maniera esplicita, d’accordo: ma questo non cambia granchè). E ancora una volta nessuno – e lo dico in senso etimologico: ne ipse unus, che è più pregnante – può avere il diritto (conferitogli da Chi?) di demonizzare/criminalizzare il Sesso. Alcune (o molte) religioni lo hanno fatto; in modo particolare – e direi, anche criminoso – lo ha fatto la Religione (o per meglio dire: la Chiesa) cattolica: la quale raggiunge l’apice dell’incoerenza e dell’ipocrisia allorquando mentre da un lato se proprio (almeno oggi) non condanna gli omosessuali, tuttavia li tollera (nel senso pasoliniano del termine: li sopporta mostrando però insofferenza), dall’altro ostenta superiorità morale nei suoi affiliati: preti, vescovi, madribadesse, suore laiche, religiosi e religiose di vari ordini ecc., laddove: se costoro rinunziano, con giuramento solenne, a tutto ciò che ha a che fare col sesso, accusano poi gli omosessuali, i transessuali ecc., di agire contro natura. Ma se i gay sono tali o perchè ci sono nati o perchè ci sono diventati e comunque non per scelta, il voto di castità dei primi è un atto volontario, o quantomeno cosciente. E allora: chi è più “contro natura”: i gay, i trans ecc. o loro, che oltretutto trasgrediscono il comando del dio in cui credono: “crescete e moltiplicatevi”?
Nel caso di Ginczanka educare alla sessualità ha una doppia valenza perchè, essendo lei per la parità dei sessi, significa anche cercare di sviluppare in chi si educa, la consapevolezza (“coscienza”) e soprattutto l’accettazione del proprio status fisioanatomico e psicologico.
Riepilogando. La Pedagogia di Zuzanna Ginczanka è implicita nella sua stessa Poesia, e consiste soprattutto nel fatto che la Poesia educa le persone – tutti cioè, non solo l’infanzia – a guardare avanti, a sperare nel Futuro (se non educasse a guardare avanti, che educazione sarebbe?), e a lavorare affinchè esso si realizzi. E educa, la Poesia, a pensare positivo, anche se uno si chiama Leopardi: che prima compose Il Passero solitario, ma dopo compose La Ginestra. E educa a godere delle cose belle e ad apprezzare anche quelle… brutte (o che a noi appaiono tali). Già: perché esiste anche una Estetica del Brutto: lo dice Aristotele, lo dice Schiller, lo dice Umberto Eco. Lo stesso Schiller afferma: “quello che abbiamo sentito come Bellezza, un giorno ci sarà restituito come Verità”. E se Educare al Futuro significa Educare alla Vita, significa prima di tutto Educare alla Sessualità: è da qui che la Vita ha origine. Perciò gli Ecclesiastici sono falsi e ipocriti, quando fingono che non sia così; sono terroristi, perchè terrorizzano (lo hanno fatto per secoli) le moltitudini con la teoria che il sesso sia peccato e pure di quello peggiore, punibile con la dannazione eterna; infine, sono dei poveracci: rinunziando alla Sessualità (dicono, ma…) e all’Amore, rinunziano alla Vita. E c’è da chiedersi come mai vestano di nero: il il colore del Lutto, il colore della Morte… Quella di monaci e monache che vivono reclusi, soprattutto che “vita” è la loro? Hanno scelto, direte. Davvero? “L’essere umano può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”, parola di Schopenhauer, e: “io sono io e le mie circostanze”, dice Ortega y Gasset. L’ambiente: fisico e culturale, condiziona al 50% la nostra esistenza, per cui siamo relativamente liberi di muoverci; ma l’altro 50% è genetico, ed è immodificabile: se siamo bruni non possiamo essere biondi, se abbiamo il piede 44 non possiamo fare in modo di averlo 39 (il trucco, le tecniche chirurgiche ecc. sono un’altra cosa).
In breve: “Ginczanka si distinse per l’anima forte in un fragile corpo, l’intelligenza, la conoscenza della femminilità e la sensibilità rivolta a un mondo in rotta verso una catastrofe di proporzioni mondiali. Vita e opere di Zuzanna Ginczanka sorsero da un incrocio di differenti culture, ma forse è proprio in questi crocevia che crescono esotici fiori” (Mario Carbone-Iwona Agatowska).