L’introduzione del libro “Il brigante Francesco Moscato detto Vizzarro”, scritto da Gianluca D’Antino e da me pubblicato settimana addietro col marchio Mario Vallone Editore.
m.v.
In tempi che sembrano lontani, quando televisione, radio, computer, telefoni cellulari e social network non esistevano ancora, la sera, dopo cena e prima di andare a dormire, nelle famiglie era quasi un rito riunirsi e parlare, raccontarsi la giornata, le novità, le vecchie storie. Storie allegre, avventurose, d’amore, paurose, storie a volte inventate e altre volte basate su fatti realmente accaduti, storie per i grandi e per i piccoli. Gli argomenti erano svariati e tra questi le storie dei briganti hanno sempre avuto un discreto fascino e successo.
I briganti erano molto lontani dalla nobile figura del celebre Robin Hood, che rubava ai ricchi per dare ai poveri; i nostri briganti erano spietati: uccidevano, stupravano, rubavano, torturavano, ricattavano, vessavano, insomma di eroico non avevano proprio nulla. Le vicende dei banditi e dei briganti di ogni epoca hanno dato spunto a migliaia di storie, col passare del tempo si dimenticavano quelle più vecchie per lasciare spazio a quelle più recenti. Le storie più vicine a noi riguardano sicuramente i briganti preunitari e postunitari, i nostri nonni conoscevano ancora i loro nomi, le loro azioni, le grotte ed i boschi dove si nascondevano. Oggi il loro ricordo va pian piano spegnendosi e si tramandano a malapena i nomi e le storie dei briganti più famigerati. Uno dei briganti preunitari più celebri della Calabria fu senza dubbio Francesco Moscato detto u Vizzarru (Bizzarro). A volte nei racconti le azioni scellerate dei briganti venivano esagerate, nel caso del Vizzarro erano già così orribili da non aver bisogno di essere ingigantite. Per quanto celebre la sua storia avrebbe fatto la stessa fine delle altre, pian piano sarebbe caduta nell’oblio, il suo ricordo si sarebbe spento, gli ultimi a dimenticarlo sarebbero stati quei paesi che ebbero la sventura di averci a che fare e dove lasciò un segno tangibile della sua crudeltà, sicuramente non ultimo Vazzano, suo paese natale, ma questo non è accaduto ed il merito va riconosciuto a Sharo Gambino.
Lo scrittore e giornalista Sharo Gambino (1925-2008), vazzanese di nascita come il Vizzarro, amava testimoniare come il legame con il bandito fosse presente in lui da sempre: “Il Vizzarro letterario è nato con me, dentro di me, il 7 Gennaio 1925, a Vazzano, e per oltre mezzo secolo mi è cresciuto dentro mio malgrado e a mio dispetto, convinto com’ero, senza la minima riflessione, che il brigantaggio fosse una vergogna da seppellire sotto la grave more dell’oblio. Era la mia esasperata calabresità. Per questa calabresità, sentimento di cui pure egli soffriva acutamente, Nicola Misasi aveva interpretato in chiave romantica il fenomeno degli anni post-unitari in modo da nascondere o quanto meno camuffare una bruttura e così trasformando in partigiani desiderosi di tenere lontano dalla loro regione un re piemontese, che parlava francese, quanti invece altro non erano che infelice e affannata massa ignorante, al solito sfruttata e strumentalizzata dalla Chiesa, grettamente tradizionalista, e della tiranna dinastia dei Borbone, a cui parlare napoletano non dava legittimità di governo su un regno allo sbando. Vizzarro, soprannome (ingiuria, diciamo in Calabria) di Francesco Moscato capo-massa dei più irriducibili e sanguinari fra quelli che gli inglesi e Ferdinando IV spinsero a branchi tra i piedi napoleonidi nel decennio 1806-1815, ebbe in sorte una vicenda inconsueta. Divenne brigante per gratitudine al re di averlo restituito alla libertà con anticipo dal carcere dove lo aveva spinto una sentenza della Ruota di Catanzaro. Aveva infatti tentato di ammazzare il barone Cataldo De Santis, feudatario di Vazzano, della cui sorella, Felicia, egli era diventato l’amante. Fu appunto questo amore, questa passione a conferire al brigante un alone romanticismo che lo perpetuò nel ricordo dei calabresi, disposti a perdonargli, pertanto, la ferocia. Non si parla più in Calabria, di Ronca, Panedigrano, Re Coremme, Gerniliaz, Fica, Cironte e le altre decine di capimassa del Decennio. Se ne accenna appena il nome, ma le gesta ci sono vagamente indicate o nessuno le ricorda quasi più, non essendovi tradizione orale che le abbia tramandate così diffusamente come quelle di Vizzarro. Se andate – faccio un esempio per tutti – a Sambiase nessuno vi sa dare notizie su Lorenzo Benincasa (che oltretutto s’era distinto anche per aver preso parte, scopo arricchimento truffaldino, alla marcia sanfedista del cardinale Ruffo); ma se andate a Vazzano, ebbene tutti, giovani e meno giovani, sanno ogni cosa che riguardi il brigante che arrossò il pavimento della loro chiesa col sangue dei suoi due potenti nemici, i baroni Antonio e Cataldo De Sanctis, invano supplicato e trattenuto dalla trepida Felicia, che lo incitava a perdonare i suoi fratelli (e pur tuttavia, a strage avvenuta, lo seguì lo stesso nei boschi di Filatò e Fallà, e gli partorì una infelice figlioletta. Dirò anzi di più: Vizzarro è pirografato su rozzi cucchiai di legno e disegnato, bianco su nero, in quadretti che si vendono o si regalano come souvenir in un piccolo museo che espone su banchi ricami e merletti ed altro di artigianale. Addirittura ci sono stati giovani (tra i quali è forte il gusto della ricerca archeologica) che si sono posti con accanimento alla ricerca della grotta in cui Vizzarro abitò al tempo che s’era messo a fare il contrabbando di sale con Ciccio Russo di Filogaso e dopo, quando, lasciata la banda di Re Coremme, tornò dalla sue parti per piantarsi come spina nel fianco dei francesi stanziati a Monteleone. E poichè c’era chi voleva il bandito nato non a Vazzano, ma a Filogaso… Ebbene gira e rigira tra le scartoffie della chiesa, hanno fatto saltare fuori il documento che assicurava a Vazzano il vanto (si fa per dire) di aver dato i natali al “capitano delle masse calabresi don Francesco Moscato”, com’è chiamato nelle carte borboniche. Indubbiamente Vizzarro è personaggio grosso assai, certo non è Karl Moor, lo chilleriano protagonista de I Masnadieri, nè Michele Kohlhaas, il brigante galantuomo di von Kleist. Non è Robin Hood e tantomeno Vardelli o un abate Cesare. (….) Quale l’ho raccontata, è la storia di un personaggio di due secoli fa tornato di prepotenza a far parlate di sè, a riproporre, per un bisogno di purificazione, la sua vita fuori legge iniziata nel letto di una nobildonna frustrata, e conclusa a 36 anni nel bosco di Rosarno per un colpo di carabina sparatogli da Nicolina Ricciardi, giovane e bella che egli aveva sottratto al marito, cavallaro della zona di Mileto ucciso a tradimento.”
Gambino sentì raccontare le storie del Vizzarro sin da bambino, nell’introduzione che scrisse per il poemetto “Il Vizzarro, vita di un bandito calabrese” di Antonio Orso (1928-2019), ricorda: “Conobbi, ebbi presentato Vizzarro dalla vocina tremante di nonna Teresa, che me ne parlava fissandomi, senza vedermi, con un ritaglio minuscolo di cielo azzurro, l’altro avendoglielo distrutto irreparabilmente insieme al nervo ottico la cornata della mucca alla quale stava approntando la mangiatoia.”. E ancora: “A tentare la biografia di Vizzarro con l’ampio respiro che è consentito dal romanzo, fu mio padre, Antonio Gambino, che dei fatti e delle leggende popolari riguardanti il brigante nato a poca distanza da casa sua riempì due grossi quaderni rimasti inediti perché abbisognosi di essere riveduti quanto meno sul piano storico.”. Sicuramente gli scritti del padre gli furono di ispirazione quando, il 18 marzo 1973, pubblicò un articolo sul Giornale di Calabria intitolato “Bizzarro e Re Coremme tra realtà e leggenda, la vita, le imprese e la morte dei due maggiori briganti calabresi”. L’articolo dovette riscuotere un certo interesse visto che Gambino alla fine degli anni ’70 scrisse per la R.A.I. “Vizzarro”, uno sceneggiato radiofonico di 14 puntate mandato in onda nell’ottobre 1980 e a gennaio-febbraio 1982 dalla struttura di programmazione della sede calabrese della R.A.I., interpretato da Pino Michienzi, Giuditta De Santis, Salvatore Puntillo e Mimma Raffa, regia di Elio Girlanda.
Già nel 1923 Vincenzo Lo Preiato aveva scritto a Monteleone un dramma storico in quattro atti pubblicato da Giulio Passafaro dal titolo “Francesco Moscato detto il Bizzarro”.
Dopo il successo del recital radiofonico, Gambino nel 1981 pubblicò il romanzo “Vizzarro”.
Negli anni l’interesse per il bandito è rimasto vivo, il libro venne ristampato più volte.
La sera del 29 luglio 2003 venne inscenata la commedia dal titolo “U Vizzarru”, versione teatrale del romanzo di Gambino a cura di Antonio Panzarella, interpretata da Ugo Pagliai e da Paola Gassman nello scenario del castello normanno-svevo di Vibo Valentia. Sempre nell’estate del 2003 Pino Michienzi scrisse uno spettacolo teatrale intitolato “Malottocento calabrese – La breve tragica storia del brigante Ciccio Moscato detto ‘U Vizzarru e della baronessa Felicia De Santis”, tratto liberamente dal romanzo di Sharo Gambino. Michienzi, che sarà regista e attore dello spettacolo, era già stato protagonista nelle 14 puntate radiofoniche trasmesse dalla Rai nel 1980. Lo spettacolo riscuote successo sia dal pubblico che dalle critiche tanto da essere replicato per otto serate sia nel 2003 che nel 2004.
Gianluca D’Antino
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MarioVallone