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“Versi che sanno di casa e d’infanzia, ma anche di vita che ritorna…”

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Ancora una recensione dell’ultimo libro di Antonio Mungo “Soltanto elucubrazioni? Riflessioni ed appunti” (Mario Vallone Editore).

Magia della “controra”, mi verrebbe da dire, si, magia di quell’ora assonnante e silenziosa in cui, fra un momento di relax e un sospiro di nostalgia, fra luci e ombre della mente, quasi in attesa che la famiglia torni a riunirsi, tornano al cuore figure e giorni d’un tempo, d’un tempo ormai senza tempo, sempre fermo in se stesso e fisso nel profondo dell’anima, quasi un attimo che torna col ritmo dell’effetto alone.

La “controra” è l’ora del ritorno, è l’ora in cui, come per magia, si affacciano davanti a noi i nostri cari. Ma non sono loro a ritornare, bensì siamo noi che, in quell’ora, ritorniamo a loro e facciamo si che essi possano ripresentarsi perché si possa riaprire un dialogo interrotto, ma mai spento. E sono un ritorno della “controra” questi versi di Antonio Mungo, un ritorno carico di sentimento e di emozione, un ritorno che riempie un vuoto lungo quasi una vita.

Si, Antonio Mungo ritorna, in questi versi, al padre e alla madre, con immutato affetto e con lo stato d’animo di sempre. E se il ritorno al padre è fonte di serenità, quello alla madre tradisce un po’ d’inquietudine. Molto dolce il dialogo che il poeta intreccia col padre nella casa di via dell’Orologio, quella casa che ha scandito il ritmo degli anni sereni e dei sogni per un futuro che si poteva ancora sognare.

E in quell’affresco di versi fascinosi e dolci, il padre torna ad apparire come quel punto fermo cui il figlio s’aggrappa in cerca di altre certezze e di conforto per le tempeste che la vita non gli ha risparmiato. Ma il ritorno di Antonio Mungo ai propri cari è anche cammino verso un porto sicuro che gli restituisca la serenità, che gli conceda di vincere il demone, che a volte gli si agita dentro, e di approdare con l’anima a quella plaga serena, che lo aiuti a superare quel senso di inquietudine, che l’accompagna da anni. Ed è qui che trova senso il ritorno alla madre, cui pensa di accostarsi per sentirne la voce intenta a narrare “ancora / la favola bella” e a riproporre le note del tempo passato e l’immagine “di quella casa, dove il sole non / tramontava / e dove tutto era avvolto da quella magica / fiaba”, di cui dice di avere ancora “tanto bisogno”.

È luminosa e serena la figura del padre nel suo cuore e nella sua memoria; un po’ meno quella della madre.
Ma è proprio a lei che Antonio Mungo, come Anteo a Gea, vuole tornare con più ansia, per ricostituire un rapporto e per aprirsi in cerca, si, di quel che da lei si aspetta, ma soprattutto per darsi, finalmente, con quell’affetto che sente di doverle dare per restituire senso a quella “casa”, che non è solo tempio di quegli anni lontani, ma è anche tempio dell’anima. Sono versi bellissimi, questi versi di Antonio Mungo, versi che sanno di casa e d’infanzia, ma anche di vita che ritorna, di incontro profondo col padre e ancor più profondo con la madre, quasi a voler sciogliere il voto d’una vita.

Eugenio Maria Gallo

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MarioVallone

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