Recensione di Raffaele Piazza
“Dall’isola nell’isola”, la raccolta di poesie di Vincenzo Moretti che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’acuta e sensibile introduzione di Katia Debora Melis e uno scritto introduttivo dell’autore intitolato “A chi leggerà”.
Tutti i componimenti sono centrati sulla pagina e il libro, per la sua unitarietà contenutistica, formale e stilistica, può essere considerato un poemetto che ha per tema quello di una natura incantevole vagamente interiorizzata.
Il testo ha inizio con un “Prologo” diviso in tre parti, che ha un carattere programmatico.
“L’isola nell’isola”, come dice l’autore, è l’Ogliastra, un’area della Sardegna che confina con i mari e con i monti, terra che può essere considerata come metaforica isola all’interno dell’isola sarda.
Un tono di sogno a occhi aperti connota i componimenti di questa nuova raccolta di Moretti. Prevale in tutte le poesie una vena affabulante e spontanea, un approccio dell’io poetante stupito davanti ai sembianti, che possono essere paesaggi, elementi di vegetazioni lussureggianti o anche una ragazza che prende il sole a dicembre e sogna mete esotiche. Quindi un “poiein” lirico tout-court che a volte sembra sfiorare l’elegiaco, un lavoro nel quale si realizza incontrovertibilmente una linearità dell’incanto che può vagamente ricordare quella del lirici greci o latini. Anche i componimenti nei quali le varie parti sono suddivise dalla punteggiatura sembrano fluire in lunga e ininterrotta sequenza con quella patina classicistica che caratterizza la dizione del poeta.
Inoltre il fatto che tutte le composizioni sono centrate sulla pagina ne accresce il ritmo sincopato che raggiunge effetti di una musicalità di vaga bellezza nello sgorgare delle immagini, le une dalle altre.
In un panorama poetico contemporaneo nel quale prevalgono gli sperimentalismi e gli orfismi che generano poetiche oscure e di non facile leggibilità, sorprende il lavoro di Moretti sempre raffinato e ben cesellato per la sua chiarezza e leggibilità.
Ma non è assolutamente una poesia elementare quella del Nostro anzi è una forma di espressione ricercata sottesa ad una vasta cultura.
E sorprende la capacità del poeta di sapersi stupire e sapere amare veramente i luoghi e le situazioni che descrive con minuziosa precisione.
A volte, nel leggere i versi di questa raccolta, pare di essere di fronte a una incantatoria melodia: si notano magia e sospensione nei tessuti linguistici icastici e leggeri nello stesso tempo.
In “Tu fosti l’acqua di Sardegna” il “tu” al quale il poeta si rivolge rimane in un alone di mistero, e ogni suo riferimento resta taciuto. Si sente in questa composizione il forte attaccamento del poeta alla terra di Sardegna e il fluire dell’acqua tra le rocce è detto con urgenza e con precisione, tanto che sembra di vedere, di visualizzare il paesaggio brullo nel quale fluiscono le acque.
Una raccolta in “continuum” con il precedete libro di liriche, “Terra di salute”: anche qui prevale una poetica dei luoghi visibili trasfigurati dall’occhio interno dell’io-poetante.