Recensione del libro “La meraviglia del poco” di Franco Pagnotta (Mario Vallone Editore).
Ciao Franco.
Non ci sentiamo da tanto. Anni. Poi giusto qualche minimo contatto su FB.
L’occasione di questa mail mi viene dalla lettura del tuo libro “La meraviglia del poco”, di cui avevo avuto notizia su FB. Me lo sono fatto inviare direttamente dall’editore e poi – naturalmente – l’ho letto.
Ho trovato il libro molto bello (molto), sorprendente nella sua freschezza e capace di suscitare emozione, pur nella sua prosa lineare e mai sopra le righe. Emozione anche in me, che pure ho vissuto un’esperienza di infanzia e giovinezza molto diversa dalla tua. Ti dirò che ho invidiato quella serenità del poco che descrivi, quei legami familiari così intensi e amorevoli, pur nella difficoltà quotidiana, nelle fatiche, nel dolore dei distacchi. E poi l’esperienza degli studi lontano da casa, ancora poco più che bambino, del primo viaggio in treno con la mamma. E tante altre cose che tu scrivi con l’anima (dire col cuore mi risulterebbe retorico). La mia è stata un’infanzia diversa, in quegli stessi anni dell’Italia del dopoguerra. Sono stato figlio unico in una famiglia che, grazie alla carriera di mio padre, è passata da una condizione “popolare” a quella della piccola borghesia. Mai veramente felice, a causa soprattutto della malattia di mia madre (depressione, in primis). Sono cresciuto in difficoltà differenti da quelle che affaticavano voi. E leggendo le pagine del tuo libro mi sono però quasi sentito anch’io lì assieme a voi, ho potuto vivere un po’ di quella meraviglia del poco che fu invece così ricca.
Per attestare il mio giudizio di qualità del tuo racconto arrivo perfino a segnalarne una possibile debolezza, che talvolta ho avvertito per una qualche ridondanza della descrizione – poetica, sentita, vera – di quel vivere povero ma sereno. Temevo, leggendo, che potesse scivolare nella retorica “di quei tempi”, che dimenticasse un po’ la realtà delle condizioni, del vivere quotidiano comunque non facile. Capisco, però, che questa remora è più che altro frutto della mia storia personale, che mi ha reso ispido e fin troppo legato al realismo. Ti ho conosciuto: quando eri qui al nord, quando abbiamo vissuto esperienze insieme, capisco che eri ancora il bambino (e poi il ragazzo) della fotografia, con il suo sentire garbato, generoso; ma forte.
Un caro saluto.
Slai Gardini
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MarioVallone
